In ricordo di Pietro Greco
Al momento di andare in stampa con il nuovo numero della rivista Ecoscienza, abbiamo appreso della scomparsa di Pietro Greco, illustre giornalista e divulgatore scientifico. L’editoriale di questo numero è firmato proprio da lui, che aveva con entusiasmo e grande disponibilità accettato di scrivere questo articolo in un numero speciale che celebra i 10 anni della rivista: Greco era stato infatti l’autore, nel 2010, del primo editoriale della nuova rivista (“Comunicazione e democrazia ecologica”). Gli avevamo chiesto di riprendere lo stesso tema analizzando l’evoluzione del discorso ecologico in questo tempo.
Pubblichiamo qui, come anteprima del nuovo numero di Ecoscienza, il suo editoriale: è il nostro saluto e il nostro abbraccio a un grande professionista e a un amico. (SF)
Democrazia e ambiente, dieci anni dopo
Dieci anni dopo, s’intende la pubblicazione del primo numero di Ecoscienza. Cos’è cambiato in questo decennio? Allora come oggi ho avuto l’onore di essere chiamato a scrivere un editoriale. Al centro dell’articolo di dieci anni fa ponevo il non semplice rapporto tra scienza, tecnologia, democrazia e ambiente. Come sono evoluti, in un decennio, le relazioni tra i vertici di questo cangiante rapporto, in Italia e nel mondo?
Le scienze dell’ambiente hanno ottenuto grandi risultati. Hanno scoperto la portata dell’inquinamento da microplastiche, per esempio. La sempre più rapida erosione della biodiversità. Hanno non solo confermato, con nuovi dati, i cambiamenti del clima, ma hanno individuato anche un limite massimo che dovremmo non superare se vogliamo evitare guai incalcolabili: 1,5 °C in più rispetto all’epoca pre-industriale. E hanno, particolare non da poco, indotto i decisori politici di tutto il mondo ad accettare questo dato a Parigi nel corso della Cop21. La scienza ha dunque compiuto significativi passi in avanti.
Anche le tecnologie (e il loro uso) hanno subito un rapido processo evolutivo. Quelle digitali, per esempio, si sono estese alla maggior parte della popolazione mondiale (accedono a internet in qualche modo almeno 4,4 miliardi di persone, il 56% degli abitanti del pianeta). Tutti (o quasi) sono connessi con tutti (o quasi). Ma è anche vero che le aziende che governano l’universo digitale sono pochissime e ricchissime, il che pone seri problemi di democrazia.
Alla luce di queste e altre novità, possiamo porci la domanda: come si sono evolute, in termini qualitativi, democrazia e ambiente; come si è evoluto il loro rapporto? Non possiamo rispondere compiutamente a questa domanda. Non in questo spazio, almeno. Ma alcune riflessioni fondamentali sono possibili.
Per renderle chiare facciamo riferimento alla Convenzione di Aarhus, approvata il 25 giugno 1998, sottoscritta da 46 stati più l’Unione europea ed entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Il testo è una sorta di manifesto della democrazia ecologica partecipata, perché riconosce il diritto a sapere tutto al meglio della scienza disponibile per poter agire, ovvero compartecipare alla realizzazione di un futuro desiderabile.
Ebbene, leggere questi ultimi dieci anni alla luce degli obiettivi di Aarhus ci fornisce un quadro abbastanza completo dei rapporti tra ambiente e democrazia. Il diritto alla conoscenza in teoria può essere sempre meglio soddisfatto, anche grazie alle nuove tecnologie digitali. La presenza dell’ambiente nella cultura di ampie fasce di popolazione è senza dubbio aumentata: basti pensare alla sempre maggiore disponibilità di accedere a corsi universitari sulle più svariate materie a carattere ambientale, dalla biogeochimica alla biologia, dall’ecologia all’economia. Purtroppo questa democrazia potenziale e, dunque, la possibilità di accesso alle informazioni ambientali, è seriamente minata da due diversi fattori: il già citato oligopolio degli strumenti (gli algoritmi, in primo luogo, che regolano i flussi di informazione), il digital divide, le disuguaglianze di accesso. In fondo sono ben 3,4 miliardi le persone che ancora non possono connettersi. Detta in altri termini, la democrazia digitale - elemento fondamentale ormai per una compiuta democrazia, compresa la democrazia ecologica - è un traguardo ancora lontano.
Ma ad Aarhus è stato detto che bisogna conoscere per agire. Quanto è cambiata la partecipazione in fatto di ambiente? Certo, i fatti ci dicono che molti obiettivi politici (a iniziare dalla prevenzione e dall’adattamento ai cambiamenti climatici) sono ben lontani dall’essere realizzati. Ma i motivi di ottimismo prevalgono su quelli di pessimismo, malgrado la pandemia Covid-19 che ha rimescolato le acque. Perché in questi ultimi dieci anni si è verificato almeno un fatto tutto sommato inedito: una stretta alleanza tra scienza e società, o meglio tra la comunità scientifica che si occupa di clima e almeno due dimensioni (definirli movimenti sarebbe riduttivo) della società civile, la religione e i giovani, che vediamo rappresentate in due figure in carne e ossa, peraltro provenienti l’uno dall’emisfero sud e l’altra dall’emisfero nord: l’argentino Jorge Bergoglio (papa Francesco) e Greta Thunberg. Il protagonismo di queste tre componenti della società è un buon esempio di partecipazione a scala globale.
È vero, la sinergia tra scienza e società non ha sortito finora tutti gli effetti sperati. Siamo ancora lontani da una soddisfacente politica globale del clima. Molti paesi, a partire dal 2015, hanno fatto passi indietro. Ma l’alleanza, frutto di questo ultimo decennio, tra comunità scientifica e società civile, comprese le componenti giovanili e religiose, autorizza a pensare che molto è ancora possibile in fatto di democrazia ecologica partecipata. Il futuro ecologico è ancora aperto.
Pietro Greco